La revisione del PEF nelle concessioni in PPP

La revisione del PEF nelle concessioni in PPP; un aspetto ancora controverso

Nel quadro di un’operazione in partenariato pubblico-privato (PPP), il riequilibrio del piano
economico-finanziario (PEF) costituisce una misura eccezionale a cui è possibile per il Concessionario ricorrere soltanto qualora abbia a sopportare extra costi o perdite in conseguenza di
eventi straordinari ed imprevedibili, comunque non riconducibili alla sua responsabilità. La finalità
della procedura è quella di determinare il ripristino dell’equilibrio attraverso l’utilizzo di indicatori
economico-finanziari individuati dal contratto di concessione; la procedura può essere attivata
soltanto nei limiti di quanto strettamente necessario alla neutralizzazione degli effetti derivanti dal
sopraggiungere dei predetti eventi patologici. La ratio dell’istituto risiede nella necessità di
preservare la sostenibilità dell’affidamento concessorio e quindi la continuità del servizio pubblico.

Nel presente contributo esporremo la modalità tecnica e procedurale di riequilibrio (basata
sull’utilizzo del PEF di concessione) che a nostra opinione dovrebbe essere seguita e che,
conseguentemente, sarebbe opportuno recepire con analiticità nel contratto di concessione[1]. In
particolare ci soffermeremo su di un aspetto controverso che, a volte, contrappone le parti del
rapporto concessorio: ci si chiede se si debba complessivamente aggiornare il PEF originario di
concessione al tempo in cui si determina l’evento (che comporta l’apertura della procedura) o ci si
debba invece limitare a recepire in esso soltanto gli effetti economici della vicenda patologica
prodottasi, senza modificare qualsiasi altra originaria assunzione e/o presupposto e/o dato. Fare
chiarezza sul punto è rilevante perché, come chi scrive ha avuto modo di constatare, controverse
interpretazioni in materia possono di fatto bloccare l’avvio stesso della procedura, con conseguenze
facilmente comprensibili.
Prima di addentrarci nell’analisi della questione è opportuno soffermarsi sulla nozione di equilibrio
economico-finanziario di un PPP, posto che la stessa discrimina la fattibilità o meno di questo tipo
di operazioni. Questo fattore viene descritto dal comma 5 dell’art. 177 del D. Lgs. 36/2023 e smi (il
Codice Appalti) come “la contemporanea presenza delle condizioni di convenienza economica e
sostenibilità finanziaria. L’equilibrio economico-finanziario sussiste quando i ricavi attesi del
progetto sono in grado di coprire i costi operativi e i costi di investimento, di remunerare e
rimborsare il capitale di debito e di remunerare il capitale di rischio.”

Il progetto sotteso dall’affidamento concessorio deve quindi risultare economicamente vantaggioso
ed in grado di generare, con la dovuta regolarità, flussi di cassa sufficienti a coprire i costi,
rimborsare il debito contratto e remunerare chi ha investito nel progetto. La complessiva idoneità di
un PPP è misurata ed attestata da specifici indicatori previsti dai contratti di concessione; di norma:
(i) indicatori di convenienza economica quali il Tasso Interno di Rendimento (TIR o IRR) ed il Valore
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Attuale Netto (VAN o NPV) e (ii) indicatori di sostenibilità finanziaria quali il Debt Service Cover
Ratio (DSCR) ed il Loan Life Cover Ratio (LLCR).
Lo stato di “equilibrio” della concessione deve essere preservato per tutta la prevista durata della
stessa ed eventualmente ripristinato al verificarsi, come detto, di c.d. eventi straordinari di
disequilibrio. È oramai pacifico come il “ripristino” delle pregresse condizioni di equilibrio debba
essere perseguito adottando misure economiche idonee a riportare gli indicatori economici e
finanziari (che le parti avevano contrattualmente convenuto d’assumere a “benchmark”) al livello
previsto nel PEF originario di concessione (il tutto, comunque, mantenendo il rischio operativo in
capo al Concessionario).
Questa necessità risulta codificata dal vigente Codice Appalti, al comma 1 dell’art. 192: “al verificarsi
di eventi sopravvenuti straordinari e imprevedibili, ivi compreso il mutamento della normativa o
della regolazione di riferimento, purché non imputabili al concessionario, che incidano in modo
significativo sull’equilibrio economico-finanziario dell’operazione, il concessionario può chiedere la
revisione del contratto nella misura strettamente necessaria a ricondurlo ai livelli di equilibrio e di
traslazione del rischio pattuiti al momento della conclusione del contratto. L’alterazione
dell’equilibrio economico e finanziario dovuto a eventi diversi da quelli di cui al primo periodo e
rientranti nei rischi allocati alla parte privata sono a carico della stessa.”
Addentrandoci ora nella meccanica della procedura di riequilibrio, riteniamo utile ed esemplificativo
ricondursi a ciò che in materia prevede l’art. 32 della cosiddetta Convenzione MEF (lo Schema tipo
di concessione di cui al documento “Guida alle pubbliche amministrazioni per la redazione di un
contratto di concessione per la progettazione, costruzione e gestione di opere pubbliche in
partenariato pubblico privato”, elaborato dal Ministero ed approvato con Delibera dell’Autorità
Nazionale Anticorruzione n. 1116 del 22 dicembre 2020 e con Determina del Ragioniere Generale
dello Stato n. 1 del 5 gennaio 2021); detta “convenzione tipo” rappresenta infatti oramai un
riferimento sistematicamente richiamato ed utilizzato dagli operatori di settore.
È innanzi a tutto importante notare come la procedura prevista nella Convenzione MEF si basi
esclusivamente sull’utilizzo del PEF, in piena coerenza con l’assunto per cui lo stesso è elemento di
riferimento imprescindibile e “centrale” nell’ambito del rapporto concessorio.
Di norma è il Concessionario ad attivare la procedura di riequilibrio; a ciò corrisponde l’obbligo per
l’ente concedente di avviare il relativo percorso di revisione (così Consiglio di Stato – Sezione
Settima – Sentenza 24 luglio 2023, n. 7200).
L’art. 32, comma 3, della citata Convenzione MEF sintetizza egregiamente la documentazione da
fornire per l’avvio della procedura, richiedendo che il Concessionario indichi: “…con esattezza i
presupposti che hanno determinato l’Alterazione dell’Equilibrio Economico Finanziario e
producendo la seguente documentazione dimostrativa:
a) Piano Economico Finanziario in Disequilibrio, in formato editabile (trattasi del PEF originario di
concessione su cui devono venire registrati gli effetti economici, direttamente conseguenti
all’evento di disequilibrio);
b) Piano Economico Finanziario Revisionato, in formato editabile (nel quale devono venire riflessi gli
effetti delle misure adottabili al fine di poter ripristinare l’originario equilibrio economico finanziario;
in via meramente esemplificativa dette misure potrebbero essere rappresentate da un allungamento
della durata della concessione, dalla revisione delle tariffe, dal riconoscimento di un contributo
pubblico, dalla combinazione di più di dette soluzioni. La “dimensione quantitativa” d’adozione delle
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ridette misure di riequilibrio è da determinarsi, come già anticipato, di modo da comportare l’esatto
ripristino degli indicatori di equilibrio economico/finanziario);
c) relazione esplicativa del Piano Economico Finanziario Revisionato, che illustri tra l’altro le cause e
i presupposti che hanno indotto alla richiesta di revisione e i maggiori oneri da esso derivanti;
d) schema di atto aggiuntivo per il recepimento nel Contratto di quanto previsto nel Piano
Economico Finanziario Revisionato.

Il percorso sopra sintetizzato risulta apparentemente chiaro e lineare. Tuttavia ancor oggi viene fatta
confusione: come anticipato, vi è infatti chi ritiene necessario provvedere ad un aggiornamento
complessivo del PEF originario (in termini di ricavi, costi, effettivo valore degli investimenti, ecc.)
prima di poter procedere all’operazione di registrazione dell’evento di disequilibrio all’interno del
PEF stesso. Porre in atto detta “attualizzazione” rischia d’essere, come intuibile a chiunque abbia un
minimo di esperienza nella redazione di PEF, molto difficile (esponendo altresì a gravi rischi di
arbitrarietà) a maggior ragione laddove le procedure riguardino iniziative ove non sia stata prevista
la costituzione di società di scopo (cosa che, quanto meno, consentirebbe di assumere a riferimento
i relativi bilanci civilistici per procedere all’aggiornamento).
In ogni caso comunque procedere all’”attualizzazione” del PEF ai fini del suo riequilibrio risulta, al di
là della complessità, del tutto inopportuno, posto che inevitabilmente a ciò conseguirebbe una
ineludibile ed erronea modifica dei livelli “benchmark” dei “ratio” originariamente dedotti in
contratto: ciò avrebbe l’ulteriore effetto di minare in radice il razionale di un metodo altrimenti
oggettivo ed idoneo a consentire di individuare l’esatta misura economica dei rimedi da adottarsi
per il ripristino dell’equilibrio (in pochi, semplici ed incontrovertibili passaggi).
La modifica indiscriminata dell’originario PEF contrattuale travolgerebbe insomma il quadro di
riferimento convenuto dalle parti per tutta la durata della concessione: in ossequio anche alle “best
practices” di settore, si deve quindi confermare che la procedura deve essere condotta nel rispetto
del principio che, in sede di predisposizione del cosiddetto PEF di disequilibrio, non devono essere
modificate le assunzioni a base del PEF originario non influenzate dall’evento causa della
destabilizzazione. Il PEF di disequilibrio (così come sopra descritto) deve insomma essere quello
originario ed allegato al contratto di concessione, a formarne parte integrante.
Anche la relazione illustrativa della Convenzione MEF, commentando l’art. 32, è chiara sul punto
laddove specifica come “ai fini del riequilibrio, devono essere modificati nel PEF solo quei valori (di
costo e ricavo) che sono stati influenzati dall’evento che ha innescato la procedura di riequilibrio”.
Per le ragioni esposte ci sentiamo di raccomandare che la metodologia di riequilibrio venga
analiticamente descritta nel contratto di concessione (con particolare attenzione a cosa abbia da
intendersi per “PEF in disequilibrio”); essa verrà così a rappresentare una soluzione che, in quanto
convenzionale, risulta idonea ad assicurare una gestione tempestiva ed efficace delle situazioni
patologiche che potrebbero insorgere nel corso dell’esecuzione della concessione ed a mitigare il
rischio di contenzioso tra le parti.

di Americo Romano
Founding Partner nel 1993 di Albion (finanza di progetto) ha pregresse esperienze in ambito bancario
internazionale e di dirigenza finanziaria nel settore infrastrutture
e Giorgio Turetta
Senior Consultant in Albion, dove ha maturato una significativa esperienza nell’affiancare clienti
pubblici e privati in operazioni di Partenariato Pubblico-Privato

[1] È bene precisare che il presente contributo non riguarda i PEF predisposti per gli affidamenti dei
c.d. servizi pubblici locali a rete, il cui aggiornamento è comunque periodico in quanto disciplinato
dall’autorità di regolazione, in considerazione della loro doppia connotazione: “statica” per la
valutazione dell’equilibrio economico finanziario dell’operazione durante la fase di affidamento e,
soprattutto, “dinamica” per la determinazione dell’evoluzione delle tariffe.